Non è un medico, è una mediatrice interculturale, Rita Subana: in piedi, a prua di una piccola imbarcazione, compie un’opera umanitaria di fondamentale importanza. Parla coi nativi Uros, spiega, propone, convince, usando gli argomenti che in tutto il mondo le persone ragionevoli (e non ossessionate dai complotti) ben conoscono: il virus covid-19 è pericoloso, potenzialmente letale, diffusissimo, contagiosissimo; chi si ammala gravemente può morirne; non ci sono ancora terapie adeguate. Per tutte queste ragioni è importante prevenire le infezioni gravi e letali attraverso il vaccino.
Rispetto all’Italia il Perù ha avuto, durante questa pandemia, il doppio dei morti con la metà dei casi. Una ragione possiamo immaginarla: il sistema sanitario peruviano ha retto molto meno del nostro. Hanno potuto salvare meno vite.
Ma il Perù è anche molto sotto la media mondiale per quanto riguarda le vaccinazioni:
Non ne ho la certezza, ma ho il sospetto che in Perù i cittadini vorrebbero vaccinarsi di più ma non possono, perché il sistema sanitario peruviano non ne ha la possibilità: per loro, come per tanti fratelli e sorelle nel mondo, la vaccinazione sarebbe una risorsa, e non una costrizione. Magari (dal loro punto di vista), fossero “obbligati” a vaccinarsi!
Non credo che in Perù si leggano appelli come quelli firmati, in Italia, da molti docenti universitari, né che vi siano molti cittadini peruviani che sproloquiano (come in Italia) su complotti, dittature più o meno velate, né che si utilizzino paralleli miserabili come quello di accostare la politica vaccinale di un governo alle strategie di Hitler e Mengele. Solo da noi il vaccino è visto, da alcuni, come una violazione della propria libertà.
La libertà è plurale, o non è.